Sotto alcune condizioni è possibile avere sia un lavoro dipendente o assimilato che una Partita IVA, percependo quindi una busta paga aziendale ma anche altri redditi derivanti da lavoro autonomo.
La scelta di avere un doppio reddito, da dipendente e da autonomo, può derivare ad esempio dalla necessità o dalla volontà di migliorare la propria condizione economica o anche semplicemente dalla possibilità di guadagnare degli extra facendo fruttare una propria passione o un proprio hobby.
Indipendentemente dalle motivazioni è un dato di fatto che negli ultimi tempi è aumentato il numero di partite IVA aperte da lavoratori già in possesso di uno stipendio da lavoro dipendente, ma i dubbi sulla coesistenza delle due tipologie di reddito non sono pochi: dal versamento dei contributi INPS, agli obblighi di comunicazione ai datori di lavoro, al cumulo dei redditi.
Un dipendente privato può aprire una partita IVA, come ditta individuale/società o come libero professionista, senza problemi di compatibilità, ovvero può aprire una propria attività mantenendo in essere il proprio lavoro alle dipendenze di un’azienda privata a patto che non vi sia concorrenza tra i lavoro svolto come dipendente e quello a partita IVA, se il contratto lo vieta espressamente. Se non vi è esplicito divieto non vi è alcun problema di coesistenza tra le due attività. In generale non vige alcun obbligo di comunicazione al datore di lavoro, anche se è generalmente conveniente informare l’azienda per non incorrere in problematiche che potrebbero portare ad un licenziamento per giusta causa.
Ricordiamo in merito che l’art. 2105 del Codice Civile prevede l’obbligo di fedeltà del lavoratore di non trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti all’organizzazione e ai metodi di produzione dell’impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio. La violazione dell’obbligo di fedeltà costituisce inadempimento contrattuale che dà luogo a responsabilità disciplinare e, nella maggior parte dei casi, integra la giusta causa di licenziamento. Il lavoratore è inoltre tenuto al risarcimento dei danni subiti dal datore di lavoro (Cass. n. 6473/1993).
Per quanto riguarda la contribuzione previdenziale INPS:
Fonte: www.pmi.it
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